Silloge poetica:

"GLI INVERNI DELLA MORALE"

“Ho sempre qualcosa da dire, anche quando ciò che vorrei dire è ammutolito da amaro risentimento". 


INTRODUZIONE


I moti dello spirito umano in perenne fermento, cercano sbocchi e indirizzi per liberare gli spazi ormai saturi della mia coscienza.


Una penna e un foglio di carta bianca diventano per me la via maestra che può condurli all'epilogo del loro naturale destino. 


Non comprendo ancora fino a quando ciò basterà ad esalare i miasmi di tali permalose inquietudini, ma per ora non posso altro che questo.


Ghirigori d'inchiostro nero su riciclate pagine bianche, prendono forma di versi, partoriti dalla logica di una prosa fluida e intimamente correlata a una realtà preesistente, cionondiméno, subiranno dettate metamorfosi.


Respirando aria di frenesia dei nostri giorni, i versi si contraggono in apparenti insensatezze che, pur tuttavia, lasciano un retrogusto di significati vaghi, aleatori e reconditi, ma da molti ravvisabili in propri e personali vissuti.


Così accade che la composizione lirica acquisisce l'accezione del senso nascosto, del celato, contrariamente al non senso del senso ostentato.


In sostanza, la nuova poesia, che non rincorre tendenze, né vuole essere al passo coi tempi, ma può solo ereditarne il carattere, finisce per rappresentare la mutevole e cagionevole misura dell'attuale mondo criptico e sincopato, seppur proveniente dal rassicurante nitore dei tempi passati, ormai ripiegati su se stessi dal ritmo franto e discontinuo di un'indecifrabile meta. 


La sensazione percepibile è che il fato, una volta, seguiva il corso della vita svolgendola dal bandolo di una matassa fino al suo ultimo compimento e senza sosta di annodamenti né di continuità, anzi intrecciando, tra i fili di altre matasse, le maglie del "noi".


Oggi, invece, quel bandolo è segmentato, spezzettato ad oltranza, contenendo e acquisendo significati solo parziali e disgiunti, che non vanno mai oltre l'integrità della compiuta matassa, ma che contemplano, il confusionario esistente, ubicato unicamente nella celebrazione del proprio "ego".


Così si inaugura un nuovo filone sentimentale, la "poesia dell'egoismo", che trae origine dai liberatori sussulti delle singole coscienze, deturpate, ma mai vinte, persino da una incenerita morale affetta da malori invernali.


Chi si immergerà in essa, sarà alla ricerca di un impellente bisogno di dare scacco matto all'ipocrisia.


Carlo Boccucci


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