Tratto dal Ciclo: "ORIZZONTI"

JULAK

«Quando vedo un cavallo, il pensiero mi rimanda a un'ancestrale idea di universalità, come se questa fiera creatura fosse un dono per tutta l'umanità piovuto dal cielo, proveniente da una nebulosa aliena o forse da dimore astrali, talmente esso è unico e misterioso. 
Ma quando mi avvicino e catturo la sua attenzione, quel severo sguardo raffredda il mio impulso, ammonendo ogni mia spregiudicata intenzione che possa offenderne l'aurea sacralità. 
E' solo un momento, un attimo prontamente superato da una empatica promessa di fiducia reciproca che, finalmente, permetterà di avvicinarmi ad esso il più possibile. 
Ma è più forte di me, dovrò tradire la solennità di quel giuramento, la tentazione è irresistibile, dovrò assolutamente carezzare, col palmo della mia mano, il candore di quel manto vellutato per violarne ogni soprannaturale spiritualità. Ingratamente, infine, giungerò persino a "impossessarmi" della sua dignitosa "libertà". »
Cercando di raccogliere queste emozioni e impugnando un'umile penna, scrivo su un foglio di carta bianca:


Gorgogliar 

di scalpitii rocciosi,

audacemente,

tessevan crini di stelle

tra setosi pulviscoli

di intermittenti luci.


Tuonanti richiami 

d'echi vibranti,

maestosamente,

redarguivano 

con occhi magmatici

l'esile apparenza umana.


Pietose membra,

gelosamente,

ponevan l'ombra tersa

tra il sole e la natura,

finché la caudina mano

miseramente ti incontrò.


"A Julak e a tutti i cavalli del mondo."

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